BALBO E CAVALLA FOTOGRAFI IN ALGERIA 1932-33

Mi passan sott’occhio alcune fotografie fatte in una visita con Mario al mercato di Setif. Ricordo…
Recandoci verso il vasto piazzale che quel mattino attirava la mia curiosità “bruciammo” un indigeno. Montato sul suo asino si recava in città per affari.”

Setif 1932

Il mercato 1932

Assai sovente gli affari che attraggono gli arabi al mercato variano dall’acquisto di uno o due chilogrammi di sale, a quello di una pignatta. Spesso ancora non riescono a combinare il contratto e ritornano a mani vuote al loro “donar”. Ma gli affari prima di tutto. E non passa settimana che non consacrino un giorno al mercato.

Ci trovammo nei dintorni della moschea precisamente all’ora della  preghiera. Mi sono ormai famigliari gli arabi ed i burnus più o meno bianchi, quindi ci installammo senz’altro per lavorare. Il mio amico scelse come studio un gruppo di case, dominate dalla cupola dorata della sinagoga, mentre io mi accinsi ad uno scorcio della moschea.”

10 gennaio 1933  “Oggi è la “grande preghiera” dei buoni musulmani. Maestoso spettacolo, dove attori e spettatori si confondono e si intendono nel misterioso misticismo collettivo di una moltitudine. La “grande preghiera” che precede di una settimana la fine del Ramadan, è a Bougie, come del resto in tutta l’Africa del nord un indice infallibile del lento e progressivo disorientalizzarsi dell’islamismo. Quando giunsi sulla piazza, dove erano già radunati a centinaia i fedeli, provai un senso istintivo di timore di fronte alla massa, ma anche di padronanza  nel vederli tutti accoccolati come nell’attesa di un giudizio. E cominciò l’ondeggiamento silenzioso dei fedeli.”

Biskrà 1932

Che dire infatti di questo arabo, alto, massiccio, imponente che si presenta in mezzo alla via drappeggiato, non solo nel burnus come i suoi simili, ma in un numero indefinito di tappeti orientali, smaglianti per disegni e colori, nuovi fiammanti e disposti sulle sue spalle e portati dalle sue nodose braccia con una sapienza non comune? Da quel bell’ordine di pelli e tappeti e cuscini orientali, si staccano, scure come una notte senza luna, una faccia degna di essere presa a modello per un personaggio del Vangelo, due mani lunghe e nodose, quasi eleganti e, sotto, due piedi lunghi, smisurati, piedi di camminatore, dalle caviglie arcuate e dalla pianta callosa e solcata di rughe come la pelle di un rinoceronte.”

I ragazzi, a volte, si concedono passatempi poco atti alla loro età. Oggi ne abbiamo visti due, sdraiati sul selciato, intenti a qualche gioco. Avevano attorno una piccola galleria di loro compagni e di europei. Ci siamo avvicinati a curiosare. Armati ognuno di un coltello dalla lama affilatissima, si esercitavano a farlo restare infisso di punta in un breve spazio dove la terra era libera di pietre. Lo scagliavano con una violenza poco rassicurante per i loro piedi nudi. Che del resto non si muovevano mai. Erano troppo sicuri della mira, e poi che cosa avrebbe detto il pubblico. E lanciavano il coltello. Di diritto, di rovescio, tenendolo disteso nel palmo della mano, in equilibrio su un dito, scagliandolo per di dietro, sottobraccio ed in differenti altri modi. Giocavano senza porre attenzione alla galleria che li osservava, immersi nella partita dove era in gioco l’onore e la considerazione dei loro compagni. Occorre dire poi che il perdente avrebbe dovuto mangiare una carota cruda. E la carota era là perché un perdente ci doveva essere.

Il gioco del coltello 1932

È pronto il cavallo, è pronto il Caid. Il grande amico della Francia, che certa- mente aspetta una decorazione per i grandi servizi resi ai suoi padroni guarda dall’alto della sella araba intrecciata d’oro. Uno sguardo orgoglioso e severo che brilla nel rosso paludamento di parata, brilla più che i finimenti del suo cavallo, più che le guarniture della sella. Ha trovato per un attimo il vigore della sua stirpe, vigore ormai spento nel sangue della sua gente che vegeta nella servitù dei più civili. È imponente il Caid in parata.”

Il Caid

Cavalla, il Caid e Balbo 1933

Febbraio 1933La giornata è bella infatti ma fa un freddo da cani, tanto più in automobile. La neve ammanta i monti e le campagne, ma di un velo tenero che si fa sempre più tenue al soffio del vento. Traspaiono ciuffi d’erba e ciottoli neri. Campi che a distanza sembrano ottimi per lo sci, veduti da vicino ci fanno sacramentare di impazienza.

E giungiamo così ad Amoucha.”

Amoucha  1933

Il vento è gelido, più che al mattino. In macchina sento la pelle del viso che vorrebbe essere riparata. L’aria gioca nei capelli, nelle orecchie, nelle narici, sforza sulle palpebre. È buona questa resistenza all’elemento che sfibra. E non fanno male le punte di ghiaccio che come spilli feriscono le carni.”

E la fine di questo mese ci ha portato una notizia piena di tristezza per noi. Sil- vio [il fratello di Balbo] ci ha scritto che Flores è morto a Napoli. Eppure di questo tormento non piango. Soffro e vorrei soffrire di più perché immagino il dolore come una cosa che Dio mi ha dato con la vita. Una quantità che il destino mi ha stabilita, che devo consumare fino alla fine. Non cerco la sofferenza per compiacermene sadicamente, accetto quella che mi aspetta e le vado incontro senza rammarico . Dove mi condurrà questa via che per il momento seguo?                                                                                                                        Vedo in fondo un qualche cosa di tanto confuso che non riesco a discernere, eppure quella meta mi attrae.”

 


© Archivio Balbo 2018

Tutte le foto sono di Mario Cavalla e Giuseppe Balbo © Archivio Balbo


Per la biografia completa di Giuseppe Balbo : www.giuseppebalbo.it


Nel prossimo post: la fine della CABA

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