DIARIO DI GUERRA 2 – Al fortino

 

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11 giugno 1940

            Il mio plotone deve andare in distaccamento a presidiare il fortino Fanni della cinta di fortificazioni di Addis Abeba. Il tenente è comandato altrove. Ci accompagna un sottotenente. Il sottufficiale si ammala subito e, prima di sera, mi sorprendo a comandare un plotone del Genio zappatori e un fortino.

E se vengono i ribelli? Mi consulto con gli amici. Faremo le cose per bene. Armi: 91 fucili.  Comincio col rancio. Abbiamo i viveri in natura. Io aggiungo venticinque lire al giorno per il miglioramento. E ora lavoriamo, per salvare la pelle. Sentinelle e sbarazziamo il terreno dagli eucaliptus che possono favorire l’avvicinamento dei ribelli. E lontani gli indigeni, anche e soprattutto le donne. I ragazzi ci stanno.

12 giugno

            Siamo in guerra. La prima notte di presidio è passata. Pochi di noi hanno dormito. E’ un affare in famiglia. Il cambio delle sentinelle, le ispezioni. Così concepisco la guerra in Africa.   Tutti d’accordo per salvare i coglioni! Non dormo perché temo che le sentinelle siano capaci di sparare anche a chi gli dà la parola d’ordine..

13 giugno

            Tutto a meraviglia. Si sta disboscando intorno a noi. Gli uomini hanno per di più il coraggio di rinviare le “sciarmutte” che si avvicinano.[ Termine usato dagli Italiani, durante l’occupazione delle colonie dell’Africa orientale e settentrionale, per indicare le prostitute indigene ] Che pacchia poterne infilare qualcuna nel fortino che potrebbe aiutarci a far cucina. Ma rinunciano sospettosi e le fanno allontanare con gentilezza lasciandogli i sensi appresso.

Ottimo il rancio e si comincia a dormire bene a turno sicuri che chi veglia ci protegge bene.

18 giugno

            Sto passando giorni bellissimi al fortino. Devo essere ingrassato. Ma ce ne sarà per poco. Stamane son stato chiamato al comando. E’ venuto a sostituirmi il sergente Iorio. Gli lascio gli uomini con rammarico. Anche per loro è finita.

Al Comando mi informano che, dati gli studi che ho fatto sono obbligato a fare un corso ufficiali  il  “306” che inizierà a giorni. Faccio la domanda e sento il brivido della vertigine.

Resto a casa. Non ho ancora licenziato Tesfai. Egli resta sempre a guardia. Dormo in villa la notte. Sono svegliato da un fruscio. Sorrido al pensiero che la bella signora europea che è a fianco riceverà qualcuno in assenza del marito. Ma sobbalzo sulla brandina. Non è così. Cercano di forzare la porta della mia camera. Accidenti. Al buio ritrovo il 91. lo armo e metto la pallottola in canna. Con un maledetto rumore di ferraglia. Passi strusciano rapidi intorno la casa. Dalla finestra nel chiaro di luna scorgo uno sciamma [ la toga, fatta di cotone, indossata ugualmente da uomini e donne ] che fugge e svanisce nell’oscuramento di guerra.

            Dovrò pensare a smobilitare le collezioni e le cose che mi stanno a cuore. Per ora dirò a Tesfai di dormire nella villa.

Giugno

            I giorni passano in lavori stradali, opere varie un po’ d’istruzione. In attesa. Nulla di accelerato, di importante, di formativo per dei soldati che dovranno fare la guerra. I genieri non sono contenti delle mostrine dei granatieri di Savoia. Loro sono del genio – dicono – e, malgrado le spiegazioni degli ufficiali, continuano a brontolare.

            Rivedo Nasia ogni tanto. Vado ancora qualche volta a mangiare in ristoranti conosciuti. Poi avverto come i borghesi tengono lontani i militari e poco a poco mi ritrovo nelle bettole dei soldati. Il fascismo non ha cambiato niente. La guerra ancora meno. Altro che prestigio! La divisa allontana sempre. Si comincia a parlare di imboscati. È considerato un fesso chi è soldato.

            Non si risente ancora penuria di viveri. I generi non hanno ancora subito rincaro. Strano. Le notizie di guerra sono sempre buone. Quelle dell’alleato. Io sento dalla radio quanto succede dalle mie parti. Un treno blindato si fa colpire alla Mortola. Suicida! Le popolazioni sgombrate. Sfollamento, bombardamenti. Poi l’armistizio. Mi immagino il mio paese in confusione. I nipotini?

 

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Luglio

            Accantonamento. Ogni tanto piazza d’armi. Ci si ritrova diversi battaglioni. Genio alpini, bersaglieri, granatieri. Poco a poco l’istruzione si fa seria si fa dura. Gli ufficiali, quasi tutti richiamati non sanno che fare. Non sono aggiornati su niente, nemmeno sul saluto. Poi si fa vedere un generale. È duro. Vuole la testa alta e vuole che si batta il piede sinistro sul colpo di tamburo, quando suona la banda militare. E la fa suonare fino a far scoppiare i suonatori. Raduna spesso gli ufficiali. Superiori e subalterni. Li inquadra vicino alla banda e fa intonare una marcia. Al colpo di grancassa tutti devono battere il piede sinistro.

            Col mio plotone e la mia squadra faccio miracoli. C’è poco da nascondersi. La piazza è vastissima, liscia come un biliardo; ma trovo sempre modo di non fare sfacchinare i miei.

Un bel giorno il generale viene a trovarci all’accantonamento. Buono buono con un pancione voluminoso come un contrabbasso. Non fa complimenti. Raduna il battaglione dice che siamo delle merde e se ne va. Niente di cambiato. Schifo!

            Episodi. Gennaro un battirame infermo. Monta di sentinella. Sulla strada non deve passare nessuno. Ma ci capita un colonnello. Vuole passare. Gennaro niente. O te ne vai o ti sparo. Manco a dirlo gli arriva l’elogio e un premio in denaro.

Mi dà a pensare. Che forse i comandi ci vorrebbero tutti uguali a Gennaro?

16 luglio

            Son stato d’ispezione: son montato ieri sera un po nervoso. E’ la prima volta. Sento responsabilità. Durante la notte una iena brontola proprio accanto al corpo di guardia. Verso le quattro un indigeno resta impigliato nei  reticolati. E’ la sua paura che vi è restata agganciata.

Luglio

            Si cominciano ad avvertire i primi sintomi. Qualche genere comincia a scarseggiare. Cominciano a girare le prime auto a gas. Fornelli di carbone del tutto primitivi. Ma vanno. Sono i benefici dell’autarchia. Tipi di bagarini stanno appollaiati in Piazza  Vittorio come avvoltoi in attesa della preda.  Ci guardano con occhi vuoti. Si parla di azioni nel Somaliland, girano militari con speciali uniformi. Bandoliere gialle, fondine gialle, pistoloni, teschi.

In tutta segretezza tutti sanno che fanno parte di un corpo di 300 volontari che saranno condotti dal console Bonaccorsi alla conquista di Aden con un colpo di mano. Molti ci lasceranno la pelle. Quindi si prendono un anticipo di gloria.

            Arrivano notizie dal Somaliland. Conquistato. Le truppe inglesi son scappate come lepri. Nemmeno un prigioniero. Berbera Zeila sono nostre.

            Assisto al trionfo del colonnello Lorenzini. In piazza 5 Maggio. E’ circondato dalle sue truppe. Barbetta brizzolata. Occhiali d’oro a stanghetta. Tutto il contrario del conquistatore. Siamo tutti leoni.

10 Agosto

            E’ domenica. Siamo all’accantonamento a poltrire. Si sente rumore di motori. Una formazione un po insolita gira per Addis Abeba. Poi cominciano gli scoppi le esplosioni; si levano colonne di fumo laggiù verso il campo di aviazione. Confusione in tutto il battaglione. Poi il tenente  cerca di mettere ordine prende il comando. “ Tutti fuori col fucile! ”. Ci troviamo intorno all’accantonamento, fra gli eucaliptus col 91 fra le mani. E’ la nostra antiaerea. Vediamo levarsi un nostro caccia. Sparisce alla nostra vista . Gli inglesi se ne vanno calmi.

            Ancora ieri il generale comandante dell’aviazione aveva dato assicurazioni che gli inglesi non potevano arrivare ad Addis Abeba.

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14 Agosto

            Un caso di tifo petecchiale. E’ colpito il furiere. Arde di febbre nella tenda. E se qualche pidocchio si fosse preso confidenza anche con me? Il malato è prelevato. Disinfestazione generale. Quarantena. Per quanto?

Agosto

  Siamo isolati e lo saremo forse per venti trenta giorni.

 

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DIARIO DI GUERRA 1 – Arruolamento nel Genio

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Giuseppe Balbo è ad Addis Abeba da circa due anni e gestisce un’impresa di materiale edile.


 

ADDIS ABEBA – 22 maggio 1940

Mi capita in ufficio Robertino Nasia. “Ci siamo“ fa, allegro e ridente e sventola una cartolina rosa. E’ il richiamo. Resto allibito dalla sua incoscienza. Io sento il brivido della vertigine. Sento che la cosa mi tocca molto da vicino. Non mi interessano gli affari ormai agli sgoccioli.

Bene verrò anch’io”. Resto solo. Rifletto un poco non tanto.

Potrei ritornare in Italia. Ci sarà la guerra. Forse ne possono dubitare in Patria. Qui ad Addis Abeba no. Ne siamo sicuri. Noi, gli stranieri, gli indigeni. L’Italia sembra ancora più lontana. Ho già scritto a Silvio di non venire. Ho già avuto la risposta. Non verrà.

Per chi ho fatto seminare da Tesfai le viole del pensiero?

Tutto da rifare. Ma io resterò. A far la morte del topo come tutti diciamo.

24 maggio

Eccomi qua. E’ Nasia. Il sergente Nasia. Sempre incosciente. Come è possibile? Invece di inveire di maledire di rammaricare mi informa che è al battaglione Genio, che si è fatto amico del maggiore, che c’è una gran confusione. Si dice che partiranno presto per invadere il Kenia.

Dimmi, Roberto. E se venissi anch’io?”

Dove, nel Genio?”

Stabiliamo il piano. E gliene parlerà al maggiore.

27 maggio

Mi sono arruolato volontario. Nel Genio. Mi son denunciato come caporal maggiore. Dovrei essere sergente. Ma non mi piace quel grado. Posso mentire. Intanto non ci sono i fogli del mio distretto.

La sera mi trovo sotto la tenda con altri tre; giovani, richiamati. Un ladro di polli lombardo, due bergamaschi Pagani e Carrara. Pagani alto grosso biondo ingenuo. Carrara tozzo piccolino nervoso, tutta malizia.

Piove. Piccola pioggia.

29 maggio

            Ho conosciuto il comandante del Battaglione Genio il maggiore Zavarrone. Vorrebbe che io andassi in un ufficio. Si meraviglia della mia insistenza a stare in compagnia. Gli devo sembrare un po’ matto.

2 giugno

            Non siamo ancora a posto che già ci sono i manifesti della mobilitazione generale; fino a cinquantacinque anni. Fanno sul serio. Arriva qualche nuova recluta. Come esercito di conquista non c’è male. Si parla sempre di invadere il Kenia. Ma come è possibile? Ho conosciuto anche gli ufficiali. Pare che nessuno abbia mai fatto un giorno di vita militare. Tutti goffi, spaesati, sventati.

4 giugno

Siamo stabiliti in un accantonamento alla periferia di Addis Abeba, nemmeno troppo lontano. Baracche. Gli eucaliptus hanno fornito una branda unica che si allunga sui lati intervallando le porte. Non ci sono finestre. Mi sono messo fra Pagani e Carrara. C’è ancora Delfini un milanese simpatico e Lampronti, sempre triste con occhi pesanti da bracco.

5 giugno

Pochissima quasi niente istruzione. Ci mandano intorno alla città a tagliare alberi: eucaliptus.

Non ci sono che quelli. E noi siamo zappatori. E i soldati lavorano. Io non ho particolari mansioni di comando. Lavoro anch’io e imparo a tagliare gli alberi. Secondo il sole, secondo il vento, col taglio giusto per farli cadere dove si vuole. Mi piace e mi fa bene.

Ma, senza saperlo, senza volerlo ho suscitato una rivoluzione. Sono il solo graduato che lavora. I soldati l’hanno notato e lo fanno notare con sottintesi o apertamente agli altri graduati. Alcuni fra loro, vecchi genieri dicono che nell’arma del genio anche i sottufficiali lavorano. Qualche volta anche gli ufficiali. “Non siamo mica in fanteria!”

6 giugno

            Stamane non posso tagliare un albero da solo. Ci ho tutti intorno. Stanno a guardarmi e ridono sorridono benevoli sornioni maliziosi. Ieri sera hanno compreso che, malgrado le mie arie, non sono uno dei loro. E’ andata così!

Nelle due ore di libera uscita, dalle diciassette alle diciannove ho fatto un salto a casa. Tesfai mi aspetta sempre, accoccolato sull’uscio. Ho fatto un bagno, ho mutato biancheria, son corso ad acquistare roba da mangiare in una rosticceria e poi siccome si è fatto tardi sono rientrato all’accampamento in tassì. Arrivato nella mia baracca con fiaschi di vino pollo e pane abbiamo banchettato. Io con un appetito mai conosciuto. Dopo Delfini mi dice “Tu devi saper giocare a scacchi!” Un po’ sorpreso gli rispondo che si, un poco. Tira fuori una scacchiera e gli scacchi e sta per venire dal mio giaciglio. Gli dico di non muoversi di mettere i pezzi e di annunciarmi le mosse, se ne conosce il sistema. Lo conosce e comincia, meravigliato e incredulo. Fra lui e me c’è di mezzo Pagani; di più volto la schiena. Svolgo il gioco di gambetto di cavallo di re. Gli do scacco matto alla tredicesima mossa. Ci sono cinquanta militari intorno. Non capiscono non credono e mi guardano come una bestia rara.

Poi si dorme. E’ andata così ieri sera e stamane si divertono a vedermi tagliar fusti allegri.

            “Caporal maggiore!” Mi chiama da poco distante un ufficiale. Accorro. E’ un maggiore dei granatieri. Mi pare di conoscerlo ma non lo ritrovo nella mia memoria. Comincia a redarguirmi, mentre sto sull’attenti, della mia opera. “Il graduato deve saper comandare, non lavorare:” ma nel Genio …” salta su di voce e mi passa un liscio e brusco di cui non afferro la causa. Intanto dalla mia memoria viene fuori un impiegato della Banca del Lavoro il quale per causa mia ma non per mia colpa si era preso una lavata di testa dal direttore, tempo prima quando ero ancora civile. Si è preso la rivincita. Ma che figuraccia sta facendo di fronte ai miei soldati. Son sicuro che stanno mugugnando. Quando son lasciato libero Pagani e Carrara vorrebbero sterminare i granatieri che lavorano con noi. Mi ci vuole del bello e del buono per ammansirli.

7 giugno

Oggi abbiamo fatto una marcetta. Mentre siamo sulla strada di Dessiè in colonna ai lati della strada avanzano dei camions. Li scorgo da lontano. E’ l’ultimo carico di cemento che mi arriva da Assab. Devono essere quattro. Circa mille quintali. Mi piazzo nel mezzo della strada a braccia aperte. Il primo si ferma mentre i miei camerati stanno meravigliati a guardare. Gli autisti mi riconoscono ridono e prendono ordini.

            Appena sono ripartiti il tenente comandante del mio plotone mi avvicina mi chiede se so qualcosa di quel cemento. E’ impresario mi dice e ha urgente bisogno di duecento quintali di cemento. Quasi non creda quando glieli assicuro.

            “ Ma cosa sei venuto a fare negli zappatori?” mi dice.

9 giugno

            Oggi sono stato in permesso. La candela sta bruciando. Non si possono trasferire capitali. Non si può telefonare in Italia. Mentre sono sovrappensiero al bar Sabaudia mi sento chiamare. E’ Chiusonno Federico. Ha un appuntamento telefonico con Bordighera. E’ uno degli ultimi. Lo incarico di salutare i miei. Ci separiamo.

La guerra è vicina. Se lo chiedono tutti l’un l’altro per la strada guardandosi negli occhi. Se uno qualunque osasse dire che c’è stata la dichiarazione di guerra tutti ci crederebbero subito.

10 giugno ore 10

            Siamo in marcia per il nostro lavoro quando veniamo sorvolati da un aereo, poi un altro un altro e un altro ancora. Son sei. Vanno a oriente. Nulla sappiamo ancora ma lo sentiamo. Difatti poco dopo l’ordine di rientrare all’accampamento.

L’annuncio. Discorsi. Presentat armi. Eia. E restiamo mosci!

 

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DIARIO DI GUERRA

aotoritratto 1942

Comincia oggi la pubblicazione in questa pagina del “Diario di guerra” di Giuseppe Balbo scritto dal 22 maggio 1940 al 9 giugno 1941. E’ la testimonianza diretta della sua partecipazione al conflitto in Africa Orientale e un prezioso documento storico degli avvenimenti che portarono al crollo dell’Impero coloniale.