Balbo e il dromedario 1933
1933 “Ci presentiamo a fianco dei cammelli. Non sono nostri e non vogliamo sostituirli alla Caba, ma per quanto si dica si ha un bel viaggiare in Africa e non farsi fotografare vicino ad un cammello o sulla sua gobba. Bene inteso, parlo di cammelli ma credo che gli animali in questione siano dromedari. Non voglio fare l’elogio ed enumerare i pregi della “nave del deserto”. A priori non amo né il deserto né le navi, ma voglio portare riprodotte le sembianze di questo dromedario che non solo si prestò a lasciarsi fotografare in nostra compagnia, senza per questo esigere il minimo ringraziamento, ma non si mosse mai né prima né dopo, tanto che sarebbe il caso di domandarsi se non fosse un’ingegnosa trovata della gente del mercato, trovata destinata ad uso di quei turisti abituati o no a rompere le scatole ai cammelli che sono dromedari sul serio.”
Musicisti a Setif 1933
“La gente comincia a precipitarsi alla fontana. Il caldo cocente aumenta la sete e le gole riarse si rinfrescano al glu glu dell’acqua destinata agli uomini ed agli animali. Per il momento sono gli uomini che bevono, ma ho visto anche gli animali e li avrei giudicati di un’educazione superiore e di una cortesia verso il loro prossimo che sembrano non conoscere invece questi assetati che con ogni mezzo si contendono la precedenza. Non si accorgono di Mario che li fotografa, fatta eccezione di un monello il quale o non riconosce i pregi della fotografia o si protegge con la mano aperta il viso, contro la malasorte che può uscire dalla macchina maligna che lo guarda con un occhio solo.”
Il monello 1993
“Giungiamo così a Costantina. Si presenta raggruppata su alcuni dirupi. Gli abissi alti dai settanta ai cento metri sono varcati da meravigliosi ponti, quali in ferro, quali in cemento. Grandiose costruzioni moderne contrastano con la cittadella araba che sta raggruppata e non si sa come possa tenere l’equilibrio sulla roccia. Le casupole sono a filo della parete del burrone. Certo è che se i “menages” litigiosi hanno imparato il vizio europeo di far volare le stoviglie dalla finestra, sarebbe un po’ difficile pretendere di trovare un porcellana che resistesse a tal salto. È poi sicuro che il proverbio italiano “mangia la minestra o salta la finestra” non è nato qui. Sarebbe un po’ esagerato.”
Costantina 1933
23 ottobre “Andiamo a visitare le rovine di Djemila.
Ci avviciniamo alla città. L’impressionismo di Mario si sfoga in una frase: “Mi par d’essere in un campo d’asparagi”. Infatti se gli asparagi nascessero con la punta volta al cielo, la somiglianza con quelle colonne intere o mozze, con o senza capitello, non sarebbe lontana dal parer buona. Ma, rievocando gli asparagi, pensiamo che è quasi mezzogiorno. Due o tre alberi, non di più, ci offrono un po’di frescura. Ne approfittiamo per consumare la colazione con un appetito invidiabile. Iniziamo la visita, accompagnati da una guida araba. È un kabili pulito nel vestito bianco e quasi sapiente con quegli occhiali a stanghetta che ammorzano sotto un’aria di civiltà l’aspetto selvaggio che gli dà il turbante.”
La guida kabili 1933
“Si profila contro le montagne scure l’arco di Caracalla ancora in ottimo stato. Sotto l’arco di trionfo passa una strada che doveva portare ad un quartiere oggi ancora sepolto. Andiamo in seguito ad ammirare la seria eleganza dell’arco di trionfo che meglio delle parole illustrano le ben riuscite fotografie.”
Djemila: l’arco di Caracalla 1933
“Giungiamo al foro che è la parte più imponente se non meglio conservata della città. Colonne più grandi, rovine di un tempio e tracce d’incendi. Nel tempio è stato scoperto il busto di una statua in mezzo tondo, che misurava, completa, circa quattro metri d’altezza. Non in fine marmo e di una fattura mediocre, ma che da esatta l’idea di quella grandiosità che non abbandonò i romani in alcun luogo di conquista. Il busto, addossato ad una parete, doveva essere quello di Giove. E se ne trova la testa al Museo dove pure sono frammenti delle braccia.”
Djemila: Balbo e il busto di Giove 1933
Djemila: la testa di Giove 1933
“Con la visita al Museo chiudiamo la nostra giornata archeologica. È notte quando partiamo. E sentiamo freddo durante il viaggio. Africa, deserto, arabi, niente di tutto questo. Ottobre, altopiano e temperatura bassa. E rientriamo a casa più romani di ieri.”
Durante il 1933 Balbo e Cavalla si scontrano con la burocrazia francese di Algeri. Il problema è la CABA che non risulta in regola.
“Da molti molti giorni avevo abbandonato di confidare in queste pagine timori speranze ed avvenimenti. Di questi ultimi non vi è certamente abbondanza. I primi vanno e vengono si orientano secondo il vento, ne seguono le correnti e non servono a sciogliere la situazione. Ci preoccupa molto il problema della CABA.”
Balbo e la CABA 1933
“Decidemmo di recarci ad Algeri. Ritornare nella città che avevamo abbandonato il 7 luglio con le più rosee speranze di proseguire il nostro viaggio, ci fece un effetto che non so spiegare. L’ing. Tarting ci rivide meravigliato nel suo ufficio, ma all’esposizione di quanto era accaduto, non solo ci promise il suo appoggio ma ci volle presentare al Direttore Generale delle Dogane d’Algeria onde facilitarci i passi che avevamo intenzione di fare presso quell’ufficio. La sorpresa che ci attendeva non ci fu affatto gradita. Due funzionari ci accolsero nel loro ufficio. Agghindati e gialli ci sorrisero come chi dicesse per pigliarci in giro. E non sapevano ancora che si voleva. Esponemmo il nostro caso. Si ricordarono d’un tratto e guardandosi l’un l’altro ci dissero senza preamboli e senza esporre ragioni che il proprietario della macchina era da loro ignorato, ma che per la macchina stessa era stata reclamata all’Automobile Club di Parigi la somma di Frs. 33.000 quale imposta doganale sull’importazione della macchina in Algeria. Nulla da fare per quanto a loro.
Uscimmo naturalmente dalle dogane e ci abbandonammo a commenti, discussioni, progetti intorno alla questione.
Affogammo il tutto in un capace bicchiere di birra e ci recammo a trovare i nostri amici. Saluti, abbracci, sorprese.”
© Archivio Balbo 2018
Tutte le foto sono di Mario Cavalla e Giuseppe Balbo © Archivio Balbo
Per la biografia completa di Giuseppe Balbo : www.giuseppebalbo.it
Nel prossimo post: Balbo e Cavalla si dividono. La fine del diario della CABA